I libri della Social Media Strategist Mary Sciarrone

Mary è una Social Media Strategist, blogger de Lo stretto indispensabile. Se lei ha avuto un sussulto quando le ho chiesto se voleva raccontarsi attraverso i suoi libri e le sue letture, io ho quasi smontato la libreria per cercare e fotografare i titoli che abbiamo in comune con tutte i sogni, gli idealismi e le speranze che sono legati ad essi.

Leggere è ricerca di comprensione, amor di approfondimento e, passando attraverso il pensiero e l’analisi di autori e racconti, orientamento per l’anima. Mary Sciarrone si muove agevolmente sulle righe che definiscono il ruolo del lettore e di cosa lo spinge a compiere regolarmente, con dedizione, passione e pazienza quest’azione.

Vieni a conoscerla?


Curriculum Del Lettore di Mary Sciarrone

letture cartacee di una donna digital

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Quando Rita mi ha chiesto se avessi voglia di raccontarmi attraverso i libri che ho letto, ho avuto un sussulto e anche un po’ di ansia al pensiero di dover fare una selezione. Già, perché ogni libro che ho letto ha rappresentato un momento importante della mia vita. Ho letto tantissimo, soprattutto da piccola. Ultimamente le mie letture si concentrano maggiormente su testi di aggiornamento e di settore. Ciò che è certo è che, nonostante sia una donna digital, se così mi posso definire, non cederò mai ai supporti elettronici.

Il piacere di sfogliare le pagine di un libro, sottolineare i periodi che più mi colpiscono, odorarne la carta, accarezzarne la copertina, ritornare a

sfogliarlo dopo anni e riscoprire segni e appunti lasciati qui e lì, sono cose a cui non potrei mai rinunciare. E poco importa se mi dicono che anche sugli e-book si può sottolineare, sfogliare ecc. Per me non sarà mai la stessa cosa.

Fare la selezione dei libri per questo post è stato un po’ come sfogliare le pagine della mia vita e avere la conferma di quanto sia stata sentimentale e romantica sin dalle letture d’infanzia. Sulla libreria dei libri di scuola trovo riposti ingialliti, uno accanto all’altro, non a caso, Piccole Donne, Cuore e Il Piccolo Lord: tre classici dell’800 che mi hanno insegnato i valori dell’onestà, dell’amicizia, del sacrificio e dell’umiltà. E dentro quelle pagine ho scoperto la passione per la scrittura.

Ancora non sapevo bene cosa avrei voluto fare da grande, di certo la goffa e scapestrata Jo di Piccole Donne è stata un mio modello: lei, così idealista, appassionata, pasticciona, ribelle, era l’essenza di come sarei diventata una volta cresciuta.

Con Cuore e Il Piccolo Lord ho scoperto i primi pianti davanti ad un libro e ancora oggi se mi capitano tra le mani mi emoziono, con buona pace della critica. Un’altra lettura che ha segnato la mia infanzia è stata l’Enciclopedia Treccani della Lingua Italiana. Sì lo so che non è un vero libro, ma ero così assetata di conoscere nuovi termini, che consultavo quei quattro tomi almeno una volta al giorno o comunque tutte le volte che ascoltavo una parola nuova.

La fase dell’adolescenza è stata sicuramente quella in cui ho letto il numero più elevato di libri, molti dei quali consigliati dai professori del liceo come letture estive. Allora non ero così contenta, oggi li ringrazio.

Sono stati gli anni di Se questo è un uomo, Il diario di Anna Frank, Il Giardino dei Finzi Contini, L’amico ritrovato, tutti libri legati alla seconda guerra mondiale e al dramma di Auschwitz; libri che mi hanno insegnato cosa voglia dire essere privati della propria libertà, quanto ti possa tenere in vita un passione, un ideale. È stato in quegli anni che ho iniziato ad avvicinarmi al giornalismo, in un modo acerbo naturalmente, ma proprio verso i sedici anni ho iniziato a scrivere pensieri di denuncia verso gli orrori del mondo. Lo scrivevo sui diari, sui temi di scuola e in qualche giornale per ragazzi.

Sfogliando le pagine di un diario lessi una frase che ancora oggi ricordo:

“Dio non esiste. Se fosse esistito non avrebbe permesso tutto questo”.

Il riferimento era al libro di Primo Levi e alla sua frase:

“C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo”.

La mia adolescenza è stata poi segnata da libri come L’alchimista, Sostiene Pereira, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e Va dove ti porta il cuore.

Sono libri che mi hanno donato l’ottimismo perso nelle letture precedenti, libri che non mi hanno fatto scordare le sofferenze di Primo Levi o di Anna Frank, ma mi hanno infuso coraggio e voglia di lottare per raggiungere i miei sogni, senza paura. A ricordarmelo è un segnalibro lasciato dentro il libro L’Alchimista su questo capoverso:

“Anche se ogni tanto mi lamento," diceva il suo cuore, "lo faccio perché sono il cuore di un uomo e i cuori degli uomini sono così: hanno paura di realizzare i sogni più grandi, perché pensano di non meritarlo, o di non riuscire a raggiungerli”. “Il mio cuore ha paura di soffrire” disse il ragazzo all’Alchimista. “Digli che la paura di soffrire è assai peggiore della stessa sofferenza. E che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni”.

Arriviamo alla maturità classica, quel momento in cui ho impacchettato i miei sogni da adolescente e li ho messi in una valigia diretta a Roma, dove mi sono iscritta alla facoltà di Scienze della Comunicazione. Tra le altre cose, ci ho messo un altro libro, sempre di Paolo Coelho, regalatomi dalle mie migliori amiche prima di partire:

Manuale del guerriero della luce. Mi ha aiutato ad affrontare una serie di battaglie, in primo luogo quella di non farcela, e in secondo luogo quella di accettare le sconfitte. Il segno lasciato su questo libro è proprio quello dedicato alla sconfitta.

“Il guerriero della luce sa perdere. Egli non tratta la sconfitta con indifferenza, adottando frasi sul tipo “be’, questo non era tanto importante”

o:

“Per la verità, non lo desideravo neppure”.

Accetta la sconfitta come tale, e non tenta di trasformarla in vittoria o esperienza. Patisce il dolore delle ferite, l’indifferenza degli amici, la solitudine della perdita. In quei momenti, dice a se stesso:

“Ho lottato per qualcosa e non ce l’ho fatta. Ho perduto la prima battaglia.”

Questa frase gli infonde nuove forze. Egli sa che nessuno vince sempre ed è in grado di distinguere le proprie azione corrette dagli errori.

A farmi compagnia durante tutto il periodo trascorso fuori casa e fino ad oggi, sono state le letture dei libri di Baricco, uno tra tutti Castelli di Rabbia, ma anche molti classici che al liceo avevo un po’ snobbato e che i professori universitari mi spinsero a leggere.

È stata così la volta de La metamorfosi di Kafka, Il cavaliere inesistente di Calvino, Il vecchio e il mare di Hemingway. Il periodo dedicato a queste letture è stato introspettivo e fondamentale per la mia crescita. In quegli anni ho sviluppato un forte senso di autocritica e di negazione assoluta verso tutto quello che non ritenevo più giusto. Questo mi ha portato ad allontanarmi dalla mia terra di origine – la Calabria – non sapendo che ci avrei fatto ritorno.

A darmi il colpo di grazia fu una lettura apparentemente più leggera, ma chiarificatrice e profonda: Lire 26.900 di Frédéric Beigbeder.

La lettura di questo libro mi ha segnato perché è un libro autobiografico, scritto da un pubblicitario, che naturalmente è stato licenziato dopo averlo pubblicato. Il libro è di un cinismo senza pari e racconta tutto il brutto di quello che stava per diventare il mio mondo. Dentro quelle pagine è racchiuso Proust, Salinger, Thompson e tutti i brand più importanti al mondo: Coca-Cola, L’Oreal, Procter&Gamble, senza sconti per nessuno. In mezzo ci sono:

  • i dieci comandamenti del creativo,
  • le ossessioni di un copywriter e
  • le follie di tanti brief.

Dopo questo libro niente è stato per me uguale.

Ho continuato su questa scia permeata di pessimismo e fastidio, leggendo Charles Bukowski, uno tra tutti Storie di ordinaria follia. Erezioni eiaculazioni esibizioni, un libro di Efraim Medina Reyes, C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo e per concludere È la stampa, bellezza di Giorgio Bocca. Credo che i titoli di queste ultime letture siano abbastanza esaustivi sul periodo travagliato che ha caratterizzato i miei primi anni universitari.

Un’adolescenza tardiva la mia, quella in cui ho messo in discussione tutto. Con un po’ di consapevolezza in più mi sono davvero dedicata a me stessa. Ho preso l’abilitazione in giornalismo, ho fatto un’esperienza all’estero e sono tornata al primo vero amore: la promozione del territorio, quello in cui ero nata e cresciuta.

Per tornare in Calabria però non ero ancora pronta, dovevo prima scrollarmi di dosso un po’ di cinismo e disillusione. Ci volevano le letture di Andrea De Carlo. Dei suoi libri non posso fare una selezione, non chiedetemelo. Li ho letti quasi tutti: da Due di due – anche se questo fa parte della fase precedente– a Lei e lui, passando per Giro di vento, Di noi tre, Uto, Treno di Panna e l’ultimo, L’imperfetta meraviglia, il libro che mi ha permesso di incontrare l’autore e comprendere due tre cose degli ultimi dieci anni della mia vita.

Mi sono immedesimata in ognuno dei suoi personaggi; quando ho letto Giro di Vento ho anche pensato di andare a vivere in una comune. Non sono arrivata a tanto, però mi sono avvicinata al turismo sostenibile, ho fatto una ricerca sugli eco-villaggi e da quella lettura è nata l’ispirazione per la tesi della laurea specialistica.

Il rientro in Calabria è coinciso con la lettura di Di noi tre. Acquistai questo libro in aeroporto, in edizione tascabile e lì ritrovai i miei sogni di adolescente. Quando ho letto l’ultimo - l’imperfetta meraviglia – e a seguito del suo intervento durante la presentazione, ho preso la decisione di lasciare il lavoro.

Negli ultimi anni sto leggendo meno, colpa di internet e dei social che sono diventati la mia fonte di sostentamento primaria. L’ultima lettura che più mi ha sconquassata è stata La città della gioia. Mi ha ricordato quanto sia fortunata e che la felicità è un dovere morale nei confronti di chi sceglie di essere felice, pur avendo tutte le ragioni per non esserlo.

In questo momento sul mio comodino ci sono due libri: Qualcosa di Chiara Gamberale, una fiaba per adulti in cui la protagonista si chiama Qualcosa di troppo e Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari. Li ho scelti perché avevo smesso di immaginare e per raccontare storia serve la fantasia, quella che negli ultimi anni avevo smarrito. Senza contare che a bussare alla mia porta, è tornala la piccola Jo, quella di Piccole Donne, che non ne può più di aspettare e vuole leggere il mio libro, quello che scrivo da cinque anni.