Le letture di Primavera Contu: scrittrice, copy e...

Di solito riesco a identificare la persona che si narra attraverso i libri che l'hanno formata e guidata nel suo percorso umano e professionale. Per Primavera Contu non è così. Non sono neanche tanto sicura che sia un nome vero ma, se lo è, è bellissimo poiché rimanda a una stagione che amo profondamente. Vado a vedere la foto di Primavera e la vedo, capelli rosa e bombetta in testa. Sembra uscita da un quadro di Magritte; è surreale, è fantasiosa. L'impressione che ne ricevo è che ho a che fare con un'anima eclettica che reinterpreta in continuazione sé stessa, senza però scadere nella banale finzione. Leggo il suo Curriculum del lettore e la complessità di un'autrice che si fa teatro, cinema, provocazione e narrazione. Sediamoci accanto, leggiamo il sipario che si apre per seguire una storia recitata, ma vera. Sì, si chiama proprio Primavera Contu! :D

Curriculum Del Lettore di Primavera Contu

Tra narrativa, teatro e cinema

#CurriculumDelLettore di Primavera Contu (immagine via Francesca Tomassini) Steampink (scatto di Francesca Tomassini)

Sono in visita per qualche giorno nella casa dei miei genitori. Non è quella in cui sono cresciuta da bambina, dato che la mia infanzia si è sbriciolata tra almeno tre dimore, estremamente diverse fra loro sia per architettura che per gli abitanti. Questa è la casa in cui ho vissuto stabilmente tra i 12 e i 20 anni. Gli scaffali qui hanno provato a raccogliere e accogliere pezzi di vita, non solo miei: condensare due famiglie in una può essere un’operazione molto interessante, anche dal punto di vista filologico.

Basta guardare la libreria del soggiorno, dove un’enciclopedia Treccani aggiornata al 1960 convive con gli ultimi autori editi da Feltrinelli; volumi di storia locale coabitano con dei romanzi d’infanzia tascabili, mentre disordinate raccolte di fumetti fanno capolino fra datati saggi di psicologia e psicoanalisi.

La mia stanza, invece, ormai nicchia vacanziera e mausoleo degli oggetti dismessi, ospita tutto ciò che negli anni ho scelto di lasciare qua: 7 traslochi in 5 anni mi hanno convinta ben presto a passare agli e-book, con buona pace dei feticisti del cartaceo, e gran sollievo per la mia schiena (oltre che per boschi e foreste). Mi giro intorno, tra raccolte di testi teatrali e monografie di registi cinematografici; testi universitari di filosofia estetica e manuali di narrazione; romanzi della beat generation, biografie di musicisti, fiabe, un Rocci malconcio (dizionario di greco antico mai venduto, forse più per pudore che per affezione). Questa stanza rappresenta il mio passato da lettrice: qualunque pesciolino d’argento potrebbe farci banchetto per i prossimi millenni.

Il primo approccio alla lettura arrivò alla scuola materna. Ho domandato con più precisione: mia madre ricorda i miei primi tentativi spontanei di decifrare i segni che vedevo qua e là, sulle insegne pubbliche o sui cartoni del latte. Non riesce però a ricordare quale sia il primo libro di cui abbia goduto appieno in maniera solitaria. Io so che la mia infanzia è stata profondamente segnata da alcuni autori: prima fra tutti, Bianca Pitzorno (riscoperta piacevolmente quest’anno, in versione scrittrice per adulti), che alternavo a Roald Dahl. Già da piccola manifestavo una maniacale tendenza all’esplorazione seriale: DOVEVO assolutamente leggere tutti i libri di un determinato autore (o autrice) che mi era piaciuto. L’assenza di internet era colmata, all’epoca, dal catalogo della piccola biblioteca che frequentavo, grazie al quale anche altri classici entrarono (un po’ in prestito, un po’ sotto forma di doni natalizi), nella mia disordinata cameretta: Mary Poppins, Pippi Calzelunghe, Piccole Donne, Momo. Gli albori innocenti del mio femminismo :) Pre-adolescenza e adolescenza si fondono un po’, in un ricordo totalizzante: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Ripudiavo il film tanto quanto amavo il libro, un cult per me e altri amici, che rilessi più di una volta.

Verso i 13-14 anni arrivò anche quello che sarebbe stato il grande amore di tutta una vita, in una forma così classica e scontata che a pensarci oggi sorrido un po’: il teatro, e l’immancabile incontro con Shakespeare. Poi vennero gli altri drammaturghi: Strindberg, Ibsen, Ionesco, Pasolini, Beckett, i tragici greci; in quegli anni il teatro letto, divorato e perfino agito (con l’ingenuità grintosa di una -poco più che- bimba cupa, dark e impacciata), esisteva per me più sulla carta che sul palco, nonostante la mia spaventosa voglia di vederlo rappresentato. Alle letture drammatiche alternavo letteratura beat e giovani autori più sconosciuti, per non scontentare tutta la controcultura di cui mi sentivo parte. Alcuni dei romanzi che mi sono rimasti più impressi? Tropico del cancro di Miller, Il giovane Holden e gli inevitabili Lolita e Arancia Meccanica. E sì, all’amore per il teatro si era già unito quello inevitabile per il cinema.

Poi abbandonai il nido e il teatro divenne studio obbligato, poi lavoro. Scoprii quello sperimentale e vi fu il rifiuto per la prosa. I libri universitari, saggi di drammaturgia e performing arts, venivano divorati come romanzi. Per la narrativa c’era meno spazio: Agota Kristoff, Jodorosky, Efraim Medina Reyes, Banana Yoshimoto, ecc. Una contraddizione dietro l’altra. Ben presto, come dicevo, tra appartamenti in condivisione e monolocali da topo di città, avvenne la mia fuga dalla carta, che coincise con la decisione di leggere quasi solo letteratura strettamente contemporanea e solo in lingua originale (che solitamente è l’inglese): certo, mi è sempre rimasta la sensazione di aver “perso dei treni” (Oh mio dio, non ho mai letto i fratelli Karamazov! O altre letture “obbligatorie”). Ma mi assillavano anche tante domande: perché non scoprire autrici sconosciute, tematiche diverse, vicine a me? Perché, se nel cinema, nel teatro e nelle arti in generale ricerco la sperimentazione, spesso anche radicale, non faccio altrettanto nella letteratura? Dov’è il mio attivismo, se non è anche nei libri che leggo? Così sono arrivati i miei quasi coetanei, talvolta quelli editi per miracolo; o quelli già avviati, ma che senza i forum su internet e i “Raccomandato se vi è piaciuto” non avrei mai scoperto. Cito solo alcuni tra gli amori degli ultimi anni: la poli-artista Miranda July, Jeffrey Eugenides con il suo Middlesex, la drammaturga inglese Claire Dowie; tutti fondamentali anche per la mia formazione da autrice. Tanta saggistica anche in questo senso, a cominciare dagli studi di genere (un’autrice su tutti: Judith Butler).

Un ultimo tassello del mio #curriculumdellalettrice è da dedicare all’attività da copy e web writer. Non posso non inserire i blog nelle letture importanti, quotidiane, immancabili. Un’autrice come Annamaria Testa, per fare solo un esempio, è una continua fonte di ispirazione non solo per via dei libri, ma anche per la sua costante attività su Nuovo e Utile.

Concludo citando un libro “zattera”, porto sicuro al quale tornare sempre quando sono in mezzo alla bufera, fonte di salvezza quando mi prende il panico da copy: Le città invisibili di Calvino. Sì, in fondo un pezzo di cuore resta riservato ai classici!