Le letture di Maria Grazia Tecchia: blogger molto tech

Oggi c'è il curriculum del lettore di una blogger e personcina deliziosa, con lunghi capelli ricci e due bellissimi occhi nocciola. No, non è Ludovica De Luca, anche se per simpatia e intelligenza si assomigliano, ma Maria Grazia Tecchia. Ok, forse sono un po' di parte ma questa fanciulla è veramente una brava blogger e, rispetto a me, con la tecnologia va così d'accordo che ha deciso di fondare Tecnologia 360. Cerco di seguire i suoi post con regolarità ma, quando ho un dubbio tecnologico, è la prima persona che mi viene in mente quando e, senza indugiare, le chiedo lumi. Fammi contenta, vieni a leggerla. Sono certa che non ti deluderà ;)



Curriculum Del Lettore di Maria Grazia Tecchia

Blogger di Tecnologia 360°

#CurriculumDelLettore di Maria Grazia Tecchia (immagine via Tecnologia 360 blog)

Prima di cominciare vorrei ringraziare la cara Rita per l’ospitalità e per avermi dato la possibilità di fare questo piccolo viaggio negli anni, costringendomi a uno sforzo di memoria non indifferente che, ovviamente, non ha dato i suoi frutti. Ho quindi spalancato le ante della libreria e mi sono lasciata travolgere dai ricordi e dai miei libri, che mi hanno accompagnata per giorni in avventure e storie nuove e ogni volta completamente diverse.

Ho seguito l’iniziativa del Curriculum del lettore dai primordi: finalmente partecipo con piacere!

Ok, anche se non ci sono regole rigide dovrei seguire a grandi linee le tappe cronologiche della mia vita ripercorrendo le relative letture, giusto Rita?
Let’s go.

Non ricordo molto dei libri che ho letto durante la mia infanzia, perché amavo farmeli leggere dai miei genitori prima di andare a dormire, e probabilmente si tratta delle favole che un po’ tutti noi oggi conosciamo.

Ma devo ammetterlo, non sono molto affidabile, ho una memoria abbastanza volatile e quindi avanti veloce le lancette del tempo e arriviamo all’adolescenza.

Da piccola leggevo libri di svariati generi, e sulla scia del buon esempio di mia sorella più grande iniziai presto a leggere, soprattutto d’estate anche come esercizio per rendere il ritorno sui banchi meno traumatico. Mi piaceva arrampicarmi su per la libreria alla ricerca di qualche titolo che attirasse la mia attenzione, tra i volumi maniacalmente conservati di mia madre, ma uno dei primi che mi abbia davvero lasciato qualcosa è stato senza ombra di dubbio Il vecchio e il mare, di Hemingway. Avevo 12 anni, a scuola ci avevano chiesto di leggere due libri a piacere ed io ne scelsi uno dalla libreria di famiglia, uno che aveva letto qualche tempo prima proprio mia sorella liceale.

La scelta peggiore che potessi fare? Probabilmente ero davvero troppo piccola per capire ed apprezzare adeguatamente quello che per i ¾ mi sembrò un vero e proprio polpettone, ma qualcosa mi colpì di tutta la narrazione: il modo in cui l’autore descriveva minuziosamente le scene del protagonista in uno dei suoi tanti giorni in mare. La lenza che gli scorreva tra le mani, che in alcuni momenti prendeva le sembianze di un coltello affilato, il dolore, lo sconforto, la sconfitta...
Dettagli, che parola dopo parola disegnavano nella mia mente i tentativi che quotidianamente e meccanicamente si susseguivano in tutta la vita del vecchio pescatore.

No, non fu il fallimento a colpire la ragazzina ingenua che ero (ero?), ma la perizia della penna che aveva saputo trascinarmi tra le onde di quella storia. Iniziavo a scoprire la magia dello "Show, don’t tell”.

Più tardi scelsi qualcosa che a mio avviso fosse più romantico, più leggero, più… sbagliavo ancora. Ragione e sentimento, quella furbetta di Jane Austin. Credo di averlo odiato, non capivo come si potesse elogiare una scrittrice che era stata in grado di scrivere pagine, su pagine, su pagine, su pagine… di amori che fanno giri su giri infiniti, impossibili, insopportabili. Risolta poi in poco meno di un paio di pagine.

Un oltraggio alla mia pazienza, era quello il premio per aver resistito e desistito dall’abbandonare la lettura fino all’ultima goccia d’inchiostro?

Niente da fare, continuavo a preferire i libri di narrativa di scuola: mi perdevo per ore nelle storie di ragazzi come me che vivevano fantastiche avventure che nemmeno mi sognavo di notte, mentre io al massimo tenevo il naso in mezzo a quei fogli di carta.

Poi, ho scoperto Shakespeare, e lì è stato amore a prima vista. Avevo 14 anni quando iniziai a leggere Romeo e Giulietta in versione integrale: adoravo le sue espressioni ricercate, sintomo di un tempo ormai lontano, ma ciò che apprezzavo di più era lo sfondo teatrale dell’opera, che spesso mi divertivo a recitare da sola nella riparata solitudine della mia mente.

Fu così che al primo seguì Il sogno di una notte di mezza estate: un capolavoro ai miei occhi, uomini con teste di animali, il vero e il falso che si intrecciano e si allontanano, la realtà che si confonde con la fantasia, il desiderio d’amore scambiato e non ricambiato. Uno spettacolo, iniziavo finalmente a divertirmi!

Proseguendo avanti veloce arrivo ai 16 anni con il primo vero libro che mi abbia mai travolto: Il codice da Vinci. Fu il mio professore di italiano e latino del liceo a ordinare di leggerlo durante le vacanze estive, e anche se sapevo di perderlo nell’anno successivo – non avrebbe potuto interrogarmi! – decisi che poteva valerne la pena. Del resto, era già un bestseller, doveva pur avere qualcosa di buono! In tre giorni fui completamente assorbita in quel mondo di arte, ingegno, numeri e storia, un racconto che mi stupiva e meravigliava ad ogni pagina, tanto che ne ho adorato ogni singolo capitolo e la lettura filava veloce, tutta d’uno sorso, ore dopo ore senza distrazioni.

Uno dei libri che una volta finito ti lascia con un amletico dubbio, della serie:

“e mo? Che faccio?”

Venne l’università, e dopo lo studio e la lettura entusiasta dei Canti di Leopardi che ho sempre amato, e la Gerusalemme Liberata riletta almeno 3 volte, un evento particolare cambiò la mia vita.


A 23 anni riscoprii Coelho, di cui avevo già letto la scioccante storia di Veronika decide di morire, ma questa volta il viaggio in solitaria di un ragazzo alla ricerca del suo destino mi diede l’impressione che non solo alcuni libri ti scelgono, ma che sanno anche parlarti. La morte di mia nonna mi sembrò un evento meno traumatico, seppur non meno doloroso, con la compagnia dell’Alchimista. Frugando tra i ricordi, nel valzer sequenziale delle mie letture punto il dito su Viaggio al centro della Terra. Un libro recente, per una lettrice non sempre assidua che viveva un periodo di particolare agitazione. Cunicoli, tunnel, laghi sotterranei e una fauna preistorica che tenta ad ogni passo di ammazzare uno dei protagonisti: l’ideale per un soggetto ansioso, talmente tanto che per giorni interi non riuscii a proseguire nella lettura, finché Otto, Axel e Hans non sbucano in uno spazio ampio, arioso e luminoso – seppur segregato nelle viscere della Terra – che finalmente mi ridiede ossigeno. *continua a leggere, puoi smetterla di trattenere il fiato*

Sfoglio ancora una volta le pagine dei miei libri e trovo qualcosa di ancor più recente, un sospiro calmo e sento il profumo delle foglie di tè di Shizukuishi e della sua nonnina guaritrice sperduta tra le montagne del Giappone.
Un idillio bucolico durato poco, ma pur sempre un idillio quello con le prime pagine di Andromeda Heights di Banana Yoshimoto. E concludo citando l’ultimo libro che ho letto, che mi ha tenuta incollata alle pagine per tante notti fino a trovarmi addormentata e delusa dal mattino perché non ero riuscita a leggere com’era andata a finire, sopraffatta dalla sonnolenza notturna. Un libro consigliato mesi prima da un’amica folle, che era riuscita a incuriosirmi descrivendolo come “un libro il cui finale ti farà cadere dalla sedia”.

La mia prima esperienza con Jonathan Coe è stata esaltante, a tratti disturbante, senza dubbio divertente e certamente sorprendente. La casa del sonno, con i suoi continui viaggi nel tempo tra passato e presente, è uno dei pochi libri ti fanno sgranare gli occhi nel momento in cui l’autore, finalmente, concede al lettore di intuire come sta andando a finire, dopo un giro di follia, analisi profonde e assurde, amori (forse) impossibili, e un filo conduttore non da poco: la continua ricerca del proprio Io.