Le letture di Marina Innorta: blogger di My Way B

Quando mi è arrivata la mail con il curriculum del lettore di Marina Innorta mi sono fiondata subito a leggerlo, divertendomi nel riscoprire alcune abitudini che io stessa possedevo quando ero bambina. Sottolineare le parole che non capivo (io sottolineavo anche quelle con doppie consonanti perché la maestra diceva che solo così si imparava a scrivere correttamente). Le letture dell'autrice di My Way Blog sono guidate da una natura introspettiva, desiderosa di andare a fondo nello studio di cose e persone. Vieni a leggerle?




Il Curriculum Del Lettore di Marina Innorta

Lettrice curiosa e introspettiva

#CurriculumDelLettore di Marina Innorta

Il primo libro non si scorda mai.

Il mio aveva la copertina verde, la carta spessa e certi disegni così buffi che li ricordo ancora oggi.
Questo in particolare mi fa ancora ridere tanto.

#CurriculumDelLettore di Marina Innorta e Gianburrasca


Era il Giornalino di Gian Burrasca, scritto nel 1907 da Luigi Bertelli, detto Vamba. Fu un viaggio straordinario. Quel Giovannino Stoppani ne combinava di tutti i colori.

Avevo otto anni ed ero troppo piccola per capire bene tutto.
La storia è ambientata nei primi anni del novecento, una realtà tanto diversa dalla mia di bambina degli anni ’70. Gian Burrasca aveva delle sorelle grandi, con tanto di fidanzati e pretendenti.

In casa c’era anche la cameriera e ogni tanto davano dei ricevimenti per i quali preparavano deliziosi panini imbottiti. Tutte cose che a casa mia non succedevano mai. Eppure, dopo un po’, Gian Burrasca mi era diventato familiare come un compagno di scuola.

Mentre leggevo tenevo con me una grossa matita di quelle rosse e blu che usavano una volta gli insegnanti, e con quella sottolineavo le parole che non capivo.

Ogni sera quando mio padre tornava a casa gli correvo incontro con il libro in mano e insieme guardavamo le pagine che avevo letto. Lui mi spiegava una per una tutte le parole sottolineate. Certe volte non le capivo nemmeno dopo la sua spiegazione, ma era bello lo stesso.

Dopo questo battesimo, ho letto diversi classici dell’infanzia.

Ricordo Cuore, I ragazzi della via Pal, Tom Sawyer, Ventimila leghe sotto i mari, ma a quanto pare mi appassionavano di più le storie familiari. Infatti un altro libro che ricordo molto bene tra le mie prime letture è Il corrierino delle famiglie di Giovannino Guareschi.
Stavolta una famiglia moderna, che somigliava di più alla mia.

La madre dormigliona, il padre ironico e voce narrante, il figlio Albertino con la testa sempre dentro ai fumetti, e poi l’altra figlia, il personaggio che mi piaceva di più e nel quale mi identificavo molto. Era chiamata la Pasionaria, e ripensandoci adesso mi fa venire in mente la Mafalda di Quino.

Tra i libri dell’infanzia non posso tralasciare Le novelle fatte a macchina di Gianni Rodari. Di questo libro ho chiara in mente la copertina impiastricciata di marmellata (di ciliegie probabilmente) e la sensazione di avere passato in sua compagnia lunghi pomeriggi invernali.

Tra l’altro avevo anche un disco, con una filastrocca di Gianni Rodari cantata da Sergio Endrigo. Si chiamava Il signore di Scandicci quello che “buttava le castagne e mangiava i ricci”. Il ritornello non l’ho mai dimenticato. Faceva così:

“Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia. La vita la butta via e mangia soltanto la buccia!”

Qualche anno dopo, cresciuta ma non troppo, mi prese un colpo di fulmine per uno scrittore non facilissimo: Dino Buzzati. Fu mio padre a consigliarmi di leggere alcuni racconti.

Li trovai belli e ne chiesi ancora.
Avevo la biblioteca di famiglia a mia disposizione: una parete bella larga riempita a tutta altezza di libri in doppia fila. Era come una miniera d’oro: se trovavo l’autore che mi piaceva dovevo solo seguire il filone. E andò proprio così con Buzzati, tutto quello che c’era in casa lo lessi. Il libro che ricordo meglio di tutti non è il suo più famoso (Il deserto dei tartari) ma un altro che si chiama Il grande ritratto. Un romanzo ambientato in un misterioso centro ricerche dove a poco a poco si scopre che il disegno degli edifici e delle vie raffigura un volto di donna. Una storia strana, che mi si è appiccicata addosso assieme a quelle atmosfere un po’ cupe e vagamente surreali tipiche della scrittura di Buzzati.

Altri anni dopo, e mio padre (sempre lui) un giorno mi passa un libro dicendo: dacci un occhio, è un autore nuovo, secondo me ti piace.Ancora racconti: A volte ritornano di Stephen King. Da allora è partita una passione che a distanza di oltre 30 anni ancora non si è sopita. Certo il Re non è sempre stato all’altezza di se stesso, e a un certo punto ho smesso di leggere proprio tutto tutto quello che usciva dalla sua penna. Però devo dire che in sua compagnia ho trascorso davvero tante ore di lettura in immersione totale e malgrado tutto resta uno dei miei autori preferiti. Dicono che la bella scrittura deve essere trasparente, nel senso che devi praticamente scordarti che stai leggendo. In questo secondo me King è un maestro: ti inchioda alle sue pagine, una dopo l’altra, e ti fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio.

Il romanzo di Stephen King che ho amato di più è L’ombra dello scorpione. Una cosa immensa, un romanzo corale, apocalittico. Amore, odio, distruzione, speranza. Quella vecchietta nel Nebraska che si infilava nei sogni di tutti i personaggi probabilmente a un certo punto l’ho sognata anche io. Così come le strade intasate di automobili ferme, le gallerie, le città deserte e piene di cadaveri. L’ho letto tre volte, e non è detto che non me ne conceda una quarta.

Un altro romanzo indimenticabile, di tutt’altro genere, è per me Lo straniero di Albert Camus. Ricordo bene quando l’ho letto, dovevo avere 21 anni. Era un’estate strana, per certi versi bella e per altri orribile. Genitori separati da poco, disorientamento, tristezza, insicurezze legate all’età.
Lo straniero mi è venuto incontro così, apparso dal nulla al momento giusto. Nella storia di Mersault c’era un po’ del mio smarrimento di quell’estate. Chissà se vivere ha davvero un senso e chissà qual è il mio posto nel mondo (ammesso che ce ne sia uno).

Per anni alla domanda qual è il libro più bello che hai letto? Non avevo alcuna risposta. Poi qualcuno mi ha fatto un regalo e adesso so rispondere: Cecità di Josè Saramago.
Questo libro è molto legato alla persona che me l’ha regalato. Me lo ricordo a casa mia, davanti alla libreria, scrutare nel caos delle mie letture. Fece una delle sue smorfie e disse: un po’ di letture sparse e confuse, a quanto vedo.
Probabilmente fu per farmi ritrovare la retta via che cominciò a regalarmi romanzi. Tutti belli eh, ma mai nessuno come Cecità.
Anche qui scenario apocalittico. I puristi mi perdoneranno il paragone (spero). Se lo scenario apocalittico de L’ombra dello scorpione è tutto sommato consolante perché resta nel solco della tradizionale lotta tra il bene e il male (e il bene vince sempre), quello di Saramago ha un sapore decisamente più amaro e reale.
Qui diventano tutti ciechi in un mondo che si scopre cinico, violento, senza speranza e senza solidarietà.
Questo romanzo l’ho letto in apnea, seguendone le vicende con gli occhi dell’unico personaggio che ci vede. E solo alla fine ho capito che durante la lettura era come se fossi diventata cieca anche io con tutti loro.

“Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

Per tanti autori che ho conosciuto grazie ad altri, qualcuno l’ho scoperto anche da sola. La prima che mi viene in mente è Doris Lessing. Non so come è stato che l’ho scoperta, ma ho cominciato a leggerla e per un paio d’anni non ho mai smesso. Dovessi nominare il suo libro che ho amato di più avrei qualche difficoltà. Il diario di Jane Somers forse. La storia di una amicizia rara, tra Jane – giovane, elegante e in carriera – e Maude – vecchia, povera e malandata.

E poi, a proposito di diari, quello di Etty Hilesum, che mi fu prestato da un’amica. Ricordo di averlo divorato, di esserne rimasta molto impressionata e di avere cominciato allora a tenere un mio diario. È uno di quei libri che so di avere bisogno di rileggere. È una sensazione difficile da spiegare. Ci sono libri che credo di avere letto al momento giusto - come Lo straniero di Camus - e altri che credo di avere letto al momento sbagliato. Probabilmente per il diario di Etty Hilesum era troppo presto. C’erano cose che in quel momento non potevo capire e di cui invece credo di avere bisogno ora.

L’ultimo romanzo – e poi chiudo - è sicuramente meno conosciuto degli altri, ma occupa un posto d’onore tra le letture che hanno lasciato tracce nella mia vita. Si chiama Senza Luce, scritto da Luigi Bernardi, più conosciuto come editore ed esperto di fumetti. Anche qui, guarda caso, come in Cecità siamo al buio, anche si tratta solo di una banale interruzione di corrente. È un romanzo breve, essenziale, senza fronzoli e con uno di quei finali che non potrebbe mai andare bene per un film. È una storia di persone che rimangono al buio, e in questo buio si rivelano per quello che sono veramente. Come se con il favore delle tenebre si potessero fare uscire le ombre, quelle che di giorno si tengono bene nascoste. Ho pensato, rileggendo questa carrellata, ad almeno altri dieci romanzi che mi dispiace non avere citato. Ma in fondo penso che se questi sono quelli che sono tornati a galla per primi, un motivo ci sarà ;)